Convegno per i 60 anni di ANITI: una riflessione sulla nostra lingua

15 Ott Convegno per i 60 anni di ANITI: una riflessione sulla nostra lingua

Sabato 8 ottobre 2016 ANITI ha celebrato il suo 60° anniversario con un convegno dal titolo “Là dove il sì suona… ancora? – Contributi per una riflessione sull’italiano oggi”.

TradInFo era presente a Milano, nella suggestiva Casa del Manzoni dove si è tenuto l’incontro: questo un breve riassunto degli interessanti interventi della giornata.

La visita alla Casa del Manzoni e i saluti iniziali

Ad anticipare il convegno, la visita guidata al palazzo in pieno centro a Milano che si è rivelata un’eccezionale occasione per aprire un convegno incentrato proprio sulla lingua italiana. Il contributo di Manzoni alla nostra lingua, infatti, è noto, ma la visita ha permesso di riscoprire questo autore che, per citare le parole di Angelo Stella Presidente del Centro Italiano di Studi Manzoniani, è uno dei personaggi italiani più fraintesi e meno capiti.

Dopo la visita, il convegno è stato inaugurato dai saluti del Presidente di ANITI, Tiziano A. Leonardi che ha celebrato un anniversario così importante e il lavoro svolto nel corso degli anni per tutelare, aiutare e promuovere il nostro mestiere. Di seguito il breve saluto del Professor Angelo Stella, che si è interrogato sulle sorti dell’italiano e su un sempre più frequente uso di altre lingue.

Professor Claudio Marazzini | Università del Piemonte Orientale e Presidente dell’Accademia della Crusca
Forza e debolezza dell’italiano

L’intervento ha ripercorso la storia della lingua italiana, del suo studio e della sua codificazione, facendo anche un raffronto con le altre lingue romanze come il francese e lo spagnolo. L’italiano è stato studiato sin dal medioevo e fino al IXX secolo da letterati che ne hanno trovato applicazione soprattutto in ambito burocrate. Ne è una prova il fatto che i primi documenti in lingua italiana sono i Placiti Cassinesi o Placiti di Capua, testimonianze giurate sulle dispute di proprietà territoriali di alcuni monasteri, mentre il primo documento ufficiale in proto-francese e in alto germanico sono i Giuramenti di Strasburgo, nei quali i due sovrani e i rispettivi comandanti militari giurano di non allearsi l’uno contro l’altro e di rispettare i confini. Questa attenzione all’uso di una lingua ufficiale ma anche popolare indica il livello di diffusione di una lingua considerata anche parte dell’identità di un popolo.

Allo stesso tempo, esaminando le prime grammatiche si nota come quelle italiane furono per lo più opere di studiosi per gli addetti ai lavori quindi molto tecniche, mentre la prima grammatica spagnola – la Gramática de la Lengua Castellana del 1492 – aveva un’impostazione ben più simile alle grammatiche moderne per facilitare la comprensione e diffondere la lingua anche nei popoli conquistati e assoggettati.

Le ragioni di questa disparità di evoluzione sono dovute alla diversa storia politica dei vari territori: la lingua italiana, al contrario del castigliano, del francese o dell’inglese, non è mai stata la lingua di un impero o di un singolo regno esteso anche al di là dei propri confini nazionali. Nonostante ciò la lingua italiana ha da sempre avuto una solida tradizione letteraria, anche grazie al suo riconoscimento come lingua dotta.

Professor Gianmarco Gaspari | Università degli studi dell’Insubria
L’italiano: l’ambiguità come valore

Partendo da diversi esempi sul linguaggio giornalistico o pubblicitario, il Professore Gaspari ha analizzato le diverse forme di ambiguità – fonetica/grafica, lessicale, strutturale/sintattica, dovuta alla posizione nella frase, ma anche ambiguità pragmatica, ossia risultante dall’interpretazione del significato – e i vari strumenti per risolverle come l’ordine delle parole, la prosodia, il contesto extralinguistico.

L’ambiguità, sostiene, nonostante possa rallentare la comprensione in mancanza di elementi esterni è in realtà un valore perché proprio la presenza di questi elementi consente una maggiore libertà di espressione e una maggiore varietà e sintesi, oltre a creare diversi effetti retorici, a volte anche umoristici.

Professoressa Gabriella Cartago Scattaglia | Università degli Studi di Milano
Gli italianismi nelle arti e nel lessico intellettuale europeo 

Questo intervento ha riassunto tutta la storia della diffusione degli italianismi nelle arti, a partire da Inigo Jones fino ai giorni nostri dove, soprattutto nel campo del design, l’influenza dell’italiano è sostanziale. In generale, secondo il DIFIT – Dizionario degli Italianismi di Francese, Inglese e Tedesco – è tuttavia nella musica che si riscontra la maggiore percentuale di italianismi, con circa il 20%.

Francesco Urzì | Laureato in glottologia, lessicografo e traduttore al Parlamento Europeo
Italiano lingua franca o Eurolingua?

A chiusura dei lavori si è tenuto forse l’intervento più interessante dell’intera giornata dal punto di vista del nostro mestiere. Urzì ha spiegato la differenza tra lingue ufficiali dell’Unione Europea – ossia tutte le lingue dei paesi membri – e le lingue di lavoro – inglese, francese e tedesco -. Questa precisazione serve a capire il titolo dell’intervento, dovuto alla percezione dell’italiano europeo come diverso e distante da quello comune e ancora più astruso del normale italiano burocratico.

Proprio perché le lingue di lavoro sono inglese, francese e tedesco, spesso la pubblicazione di una norma in italiano è una traduzione e questo fa sì che siano usati termini e locuzioni con significati in parte o completamente diversi, anche a causa del fatto che spesso i traduttori sono costretti a utilizzare memorie di traduzione e terminologia consolidata che possono portare gli errori a perpetuarsi in eterno.
Un esempio è il termine “funzionario”, traduzione del francese fonctionnaire che designa un qualsiasi dipendente dell’Unione Europea, mentre in italiano richiama una figura dirigenziale di medio livello. Allo stesso modo, contratto viene usato in italiano con lo stesso significato dell’inglese contract e del francese contrat con conseguenti problemi di interpretazione e decisione. Altri casi piuttosto curiosi di terminologia astrusa sono household clients divenuto clienti civili per indicare semplicemente famiglie, quando in italiano questo termine ha un campo di applicazione più ristretto; così come single adults with dependents, che diventa adulti che vivono da soli con familiari a carico, concetto che non ha un vero senso logico.
In tutti questi casi in cui vi è un conflitto tra il significato del termine in italiano corrente rispetto all’italiano europeo vi sono solo due possibili soluzioni: riportare la definizione del termine nell’atto o dirimere la questione in via giurisprudenziale.

Questa prevalenza delle tre lingue di lavoro, dovuta a motivi pratici, comporta però di fatto una violazione del principio di equivalenza delle lingue, problema reso ancora più evidente dal fatto che inglese, francese e tedesco sono usate come lingue pivot cioè di passaggio intermedio da cui poi tradurre in lingue con meno risorse di traduzione a disposizione: se un estone, ad esempio, necessita della traduzione di una norma olandese, quasi certamente questa sarà tradotta prima dall’olandese all’inglese poi dall’olandese all’estone.

Nella sessione conclusiva di domande, Urzì ha parlato dei possibili effetti della Brexit sullo status dell’inglese come lingua di lavoro: non cambierà nulla, sia per lo stato dell’inglese come lingua pivot, sia perché ci sono l’Irlanda e Malta.

In conclusione

La giornata è stata molto istruttiva e piacevole, sebbene diversa dalla media dei convegni professionali degli interpreti e traduttori. Un’occasione importante di confronto e un’ulteriore conferma della collaborazione tra associazioni di interpreti e traduttori che ci auguriamo possa rafforzarsi sempre di più.

Francesco D’Arcangeli

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