
15 Giu Interpretazioni dell’altro mondo: incarichi impossibili e come affrontarli
a cura di Elisabetta Zoni
Quando si pensa al lavoro di un interprete di simultanea o di consecutiva ci si immaginano ampie e luminose sale da convegno, conferenzieri eleganti e impianti super-tecnologici. La realtà a volte è un po’ diversa ed è spesso fatta di situazioni tutt’altro che perfette o all’altezza degli standard professionali minimi. Per fortuna però, fra le capacità degli interpreti rientra il saper improvvisare, non solo con le parole e i termini, ma anche nell’affrontare problemi inaspettati.
Questo mese intervistiamo tre soci interpreti TradInFo che ci raccontano alcune esperienze fra le più spiazzanti e insolite che hanno dovuto affrontare nel corso della loro carriera. E come ne sono usciti.
Iniziamo con Laura Gervasi, interprete e traduttrice di spagnolo e inglese, che ci racconta di due situazioni un po’ imbarazzanti in cui ha dovuto cambiare lingua di lavoro in corso d’opera ed è stata costretta a mettere alla prova addirittura la sua resistenza fisica, oltre che la sua competenza linguistica.
Chuchotage o consecutiva? Spagnolo-inglese o italiano-spagnolo?
«Vengo chiamata da una famosa casa di moda per un interpretariato simultaneo in chuchotage. L’evento è la presentazione di una nuova collezione per la rete di responsabili paese internazionale. La relatrice, italianissima, avrebbe parlato spagnolo poiché la maggior parte del pubblico è composta da madrelingua spagnoli. Io avrei dovuto tradurre in incrociata direttamente dallo spagnolo all’inglese per due partecipanti maltesi, i quali arrivano all’ultimo momento dandomi appena il tempo di dire “Hello. Nice to meet you, I’m Laura and I’ll be your interpreter for today” prima di iniziare. Già dal primo istante ho l’impressione che i miei due maltesi abbiano un’espressione perplessa, ma vado avanti con la mia traduzione pensando che abbiano bisogno di un attimo per riprendersi dalla corsa e ambientarsi. Dopo cinque minuti, uno dei due mi guarda e mi dice sottovoce in italiano: “Non stiamo capendo niente!” Panico! Dopo un istante di smarrimento iniziale, chiedo cosa intendano e risulta che i due non comprendono né parlano l’inglese, non stanno capendo nulla del mio inglese standard e mi chiedono se so il maltese, che io ovviamente non so! Cerco di farlo presente educatamente alla relatrice, ma vengo cazziata per il tentativo di interruzione – “abbiamo tempi strettissimi, non sono previste interruzioni”-. Per farla breve, decidiamo di comune accordo con i maltesi che avrei tradotto verso l’italiano, che loro comprendono pur non parlandolo correttamente. Dopo un po’ la relatrice si ferma e mi chiede perché io stia traducendo verso l’italiano e non verso l’inglese. Le spiego l’incidente e lei tutta contenta mi dice “Beh, ma allora io parlo direttamente italiano e lei traduce in spagnolo per gli spagnoli!”. Insomma, dovevo tradurre in chuchotage spagnolo-inglese e finisco per tradurre in consecutiva italiano-spagnolo! Quando si dice che nel nostro lavoro non si può dar mai nulla per scontato!
P.S.: A posteriori, ho letto sul web che l’88% dei maltesi comprende e parla correntemente l’inglese, peccato che i due presenti appartenessero al restante 12% e che il cliente non si fosse posto il minimo dubbio! Ad ogni modo, come si suol dire: all’s well that ends well!
Impeccabili, anche in situazioni estreme
«Ricevo una richiesta per una giornata di chuchotage più consecutiva da italiano a spagnolo e viceversa. L’evento è un meeting in Toscana dei rappresentanti dei paesi aderenti alla Rete Internazionale delle Foreste modello. Detta così, tutto ok: si parlerà di politiche forestali, selvicoltura, protezione ambientale, al massimo produzione sostenibile del legno: no problem! Raggiunto il luogo dell’evento, un po’ sperduto a dire la verità, la sessione mattutina si svolge senza intoppi all’interno di un rifugio di montagna e mi dico anche “dai, che bello, ogni tanto si vede anche qualche bel posto immerso nella natura con questo lavoro!”. Mi sarei pentita di questo pensiero subito dopo, quando capisco che l’altisonante dicitura nel programma della giornata “sessione pomeridiana: trasferta ai cantieri per le dimostrazioni in bosco dei primi processi della rete – addestramento operatori forestali – interventi selvicolturali e produzione legno” altro non vuol dire che bisogna arrampicarsi su per la montagna seguendo, almeno nel mio caso, dato che dovevo tradurli e altrimenti non avrei sentito nulla, il passo ginnico di due operatori forestali dalla corporatura imponente e accento e intercalari orgogliosamente toscani e non proprio ripetibili/traducibili (perché scomodare i piani alti lassù?). Il tutto su un terreno fangoso a causa delle piogge del giorno prima e con buona pace del mio elegantissimo tailleur nuovo e delle mie scarpe che definirei eufemisticamente poco adatte. Come partire la mattina ben vestiti, profumati e con trucco e parrucco impeccabili e tornare la sera sudati, con il trucco sciolto e i capelli sconvolti, pieni di fango e senza fiato! Lezione imparata: certo, il nostro lavoro è prettamente mentale, ma meglio tenersi in forma per ogni eventualità, mens sana in corpore sano!»
Proseguiamo con le storie di Francesco Cecchi, interprete e traduttore ispanista e anglista, che ci fanno riflettere sulle conseguenze linguistiche del comportamento delle masse e di una radicale strategia per salvare la faccia e i rapporti familiari: «Studi, ti laurei, poi ti lanci nel mondo della professione, quindi pensi di avere un’idea abbastanza chiara di quello che significhi fare l’interprete: e subito pensi al convegno, alla trattativa d’affari, alla conferenza stampa. Tutto vero. Ma nessuno ti aveva detto che nel corso della tua vita professionale ti saresti trovato anche in situazioni come queste».
Four… lì!
«Palazzetto dello sport gremito, migliaia di persone sugli spalti, la squadra di casa a centrocampo che festeggia la salvezza al termine di una stagione difficile. E tu sei lì, dietro le quinte, con le cuffie e il microfono in mano, pronto per tradurre il cestista americano che vuole rivolgersi ai suoi tifosi forlivesi. E lui ovviamente aizza le folle: “When I say FOUR…” – e tu, bello come il sole, traduci “Quando dico QUATTRO…”. E il cestista continua:”…you say lì” – “voi dite lì“. E tutto il palazzetto inizia a intonare un coro “QUATTRO-lì! QUATTRO-lì” senza capire veramente che il loro beniamino americano voleva omaggiare la città di FOUR-lì… Forlì, per l’appunto».
Un matrimonio… in trasferta!
«Hai la fortuna di nascere in Toscana, quindi ti contattano dei distinti e attempati signori inglesi che, con gusto tutto britannico, decidono di celebrare il loro matrimonio numero X nel Granducato. Ovviamente c’è bisogno di un interprete che traduca la cerimonia agli invitati, quindi cosa fai? Vai dall’assessore del pittoresco borgo e gli chiedi più o meno cosa pensa di dire, quali articoli del codice civile devi leggere, ecc. Peccato che costui bel bello ti risponda: “Io non posso leggere nessun articolo di nessun codice. Questo matrimonio in realtà è una farsa. Gli sposi non hanno fatto le pubblicazioni per tempo. Però ormai che si fa?!? Tutti gli invitati sono già arrivati apposta dall’Inghilterra… si farà una cerimonia per finta!”. Bell’idea, non ci avevo pensato. E tu lì a tradurre una specie di omelia laica del solerte assessore che, in totale imbarazzo, cerca di riempire almeno una quindicina di minuti».
Sara Meservey, interprete e traduttrice anglista e francesista, conclude questa nostra carrellata di “interpretazioni dell’altro mondo” con due curiosi esempi di inadeguatezza organizzativa, che hanno costretto lei e le sue colleghe a lavorare in una situazione decisamente soffocante e a calarsi nel ruolo extra di tecnici audio-video:
Una cabina per due
«Uno dei primi incarichi che ho svolto era un convegno per un’azienda zootecnica. Sono stata contattata tramite agenzia per la simultanea tra l’inglese e l’italiano. Il convegno prometteva bene, perché il responsabile dell’organizzazione per l’azienda si era reso disponibile a inviarci materiale e a incontrarci per un briefing 3-4 giorni prima dell’evento.
La presentazione era di circa due ore e mezza compresa una pausa, per cui avevano chiesto un solo interprete per ogni lingua, inglese e francese; il problema è che quando io e la collega siamo arrivate abbiamo trovato una sola cabina e all’interno gli impianti bidule!».
Da simultanea… a consecutiva
«Vengo contattata sempre per un incarico di simultanea italiano-francese a Catanzaro da un’agenzia siciliana tramite una mia collega. Le cose da subito non promettono benissimo perché non si riesce ad avere il titolo dell’evento, si sa solo – a detta degli organizzatori – che si tratterà di prodotti tipici calabresi. La tariffa è buona, ovviamente è previsto rimborso viaggio e albergo e gli organizzatori si preoccupano addirittura di prenotarmi loro gli spostamenti e venirmi a prendere e riportare in aeroporto.
Fin qui nulla da dire. Se non fosse che quando arrivo sul posto, fatta la conoscenza della mia collega, chiediamo di vedere le cabine.
“Le cabine?” chiede con fare perplesso l’organizzatore.
“Sì, sa il posto da dove tradurremo, dove c’è l’impianto col microfono…”.
“Ah, sì!”.
Ci fanno strada e ci ritroviamo in una stanzetta con un tavolo, un televisore a tubo catodico come monitor e un solo microfono di quelli da cantante, con miniastina sulla scrivania e accanto un mixer da cui prendere l’audio. Scopriremo in seguito che sul tetto dell’albergo c’è una stazione radio che trasmette, quindi gli addetti della radio hanno dato in prestito l’impianto.
Inoltre davanti alla scrivania c’è una tenda a pannelli, tolta la quale si svela un buco nel muro – tipo passavivande – che dà sulla sala dove si svolgerà l’evento. Diciamo quindi addio all’insonorizzazione. Cerchiamo di far capire ai tecnici che o ci mettono due monitor – uno per vedere in faccia le persone mentre parlano e uno per vedere i powerpoint proiettati – oppure bisognerà aprire la tenda, tanto per l’insonorizzazione non serve. Gli organizzatori sono molto restii perché far vedere le interpreti nel passavivande “pare brutto”, ma alla fine compare faticosamente un secondo monitor.
Facciamo le prove tecniche, individuiamo il canale. Perfetto, funziona tutto. Inizia il convegno: non funziona più nulla! Ci affacciamo e vediamo che i ricevitori distribuiti agli uditori erano delle mini-radioline di plastica – di quelle che un tempo si trovavano in omaggio nel fustino del detersivo – e in cui il selettore del tuning è un pulsante – per cui non si può andare avanti e indietro nelle stazioni radio ma solo avanti – e che l’uscita dell’audio della simultanea era prevista su una frequenza radio in onda media. Alla fine abbiamo fatto consecutiva tutto il tempo.
E il moderatore all’inizio si è anche scocciato perché la collega, povera anima pia immolata sull’altare della consecutiva, non aveva cominciato a tradurre subito dopo “buon pomeriggio signore e signori”. Per giunta, l’argomento non era neppure quello annunciato bensì si trattava della cooperazione tra Italia e Sud del Mediterraneo in ambito agricolo, gli interventi perciò erano pieni di termini tecnici su porti, serre, ecc…».
In conclusione
Non si può negare che la professione dell’interprete non di rado richieda una notevole dose di sangue freddo, di spirito di adattamento e di… creatività.
Vi è mai capitato di trovarvi in condizioni simili a quelle riferite dai nostri colleghi di TradInFo? Avete voglia di parlarci delle situazioni più stravaganti che avete vissuto e che vi hanno veramente messi alla prova come professionisti?
Ana María Pérez Fernández
Pubblicato alle 17:24h, 15 GiugnoComplimenti per il post, stupendo!
Per fortuna non ho avuto esperienze estreme, soltanto i clienti che mi chiamano per trattativa e poi trattano fra di loro in tanto che io osservo e seguo la conversazione … e poi mi chiedono se ho le fotocopie… 😀
Laura Gervasi
Pubblicato alle 12:09h, 17 GiugnoGrazie a Elisabetta per averci permesso di condividere questi “simpatici episodi” con questo bellissimo articolo! è stato davvero un piacere partecipare! E massima solidarietà a Francesco e Sara e a tutti gli altri compagni di sventura!! Detto questo, la nostra professione rimane comunque meravigliosa nonostante tutti gli inconvenienti del caso e siamo fortunati di poterla fare!!!
Laura Gervasi
Pubblicato alle 14:17h, 22 GiugnoE a voi colleghi e colleghe tutti, è mai capitato qualcosa del genere? Dai, liberi tutti e raccontateci le vostre esperienze più divertenti, che ridere fa bene alla salute!!!
Francesco D'Arcangeli
Pubblicato alle 10:34h, 25 GiugnoD)Laura hai avuto la sfiga estrema di beccare gli unici due maltesi che non sapevano l’inglese, 😀 e sto ridendo come un matto ad immaginarti al seguito delle guide forestali in versione “congresso” 😀
Grazie a tutti per le esperienze, se volete vederne di altrettanto “extreme” chiedete alla collega Martina Lunardelli che ha lavorato anche in Iraq (sì, proprio in questi tempi di guerra costante!!)
Roberta Morese
Pubblicato alle 17:30h, 26 GiugnoBellissimo post, ho riso tanto anche se immagino sul momento voi non vi siate divertiti affatto! Lavorando principalmente come traduttrice non ho vissuto molti episodi del genere, però mi ricordo ancora un episodio risalente agli anni da studentessa alla SSLMIT. Ricevo un incarico da un’agenzia come interprete di inglese per accompagnare i delegati di diversi paesi a degli incontri organizzati dalla camera di commercio durante una fiera. Bene, arriviamo lì in una decina e scopriamo di essere stati tutti presi per l’inglese, peccato lo parlassero 2 delegati su circa 40! La responsabile dell’agenzia mi guarda e mi fa: “Ma tu parli anche spagnolo?”, io rispondo di sì, già pronta a entrare mentalmente nell’idea di dover parlare spagnolo e non inglese, con buona pace di tutta la terminologia studiata per l’incarico, e lei con la massima nonchalance: “Allora tu affianchi il delegato portoghese, tanto spagnolo o portoghese che differenza fa?”. Inutile dire che mi sono cadute le braccia! Alla fine il portoghese parlava inglese, meno male 😀