Tariffe minime per interpreti e traduttori: sì o no?

20 Lug Tariffe minime per interpreti e traduttori: sì o no?

a cura di Elisabetta Zoni

 

Tariffe, tema spinoso e nota spesso dolente quando si parla di professioni in generale e di traduzione e interpretazione in particolare. Questo mese TradInFo propone alcune questioni intorno al compenso che chiediamo – e percepiamo – per i nostri servizi professionali.

Perdere un’offerta o perdere dignità?

Che si lavori con la traduzione o con l’interpretazione, è un dilemma che tocca a tutti: dopo l’invio del preventivo, il cliente che ci aveva proposto una commessa ci ricontatta informandoci di averla affidata ad altri che hanno fatto un’offerta più bassa. Questo a volte ci lascia un po’ interdetti, soprattutto se nel tentativo di venire incontro al cliente siamo scesi ben al di sotto della nostra tariffa abituale… Che fare allora quando capitiamo per la seconda volta davanti allo stesso bivio e magari ci troviamo in un periodo di scarsa domanda? Perdere un’altra opportunità di (seppur scarno) guadagno oppure lavorare ma a condizioni che riteniamo poco dignitose o che comunque, se praticate su base regolare, non ci garantirebbero neppure di arrivare a fine mese?

Purtroppo sono in molti a cedere e a lasciarsi trascinare nella spirale del ribasso tariffario.
Si tratta certo di persone in oggettiva difficoltà economica, ma spesso anche di giovani che si affacciano al mondo del lavoro e che potrebbero contare su un supporto da parte delle famiglie di origine, o persino di professionisti con notevole esperienza e qualifiche professionali, che possono disporre di fonti alternative di sostentamento. Pur di “fare ciò che amano” e appuntarsi sul petto – e sul curriculum – un’esperienza che ritengono qualificante e prestigiosa, sono quindi disposti a svendere le proprie competenze lavorando per tariffe indecorose, quando non addirittura gratis, sottoponendosi a scadenze di consegna al limite delle possibilità umane, a fronte di tempi di pagamento biblici. In definitiva precludendo a colleghe e colleghi economicamente ancora meno fortunati di loro la possibilità di vivere, o anche solo di sopravvivere, grazie al loro lavoro.

Come siamo arrivati fin qui

Da un lato l’individualismo, anche alimentato da un sistema economico egoistico e avverso alla solidarietà com’è quello ancor oggi imperante, dall’altro la mancanza di consapevolezza del proprio valore come lavoratori e come professionisti, sono da sempre un problema ma vi sono anche altre concause che hanno determinato l’attuale situazione del mercato, popolato da molti, troppi lavoratori autonomi poveri intrappolati nel meccanismo della corsa al ribasso:

  • l’idea, diffusa non solo nel nostro settore, di comprare e vendere un servizio professionale come se fosse una merce;
  • la mancata regolamentazione, in particolare della professione di traduttore: in Italia si è appena iniziato a porvi rimedio con il rafforzamento delle associazioni di categoria e la sindacalizzazione dei traduttori editoriali;
  • il fatto che a tariffe basse, come ricordato sopra, non corrisponda necessariamente un deterioramento della qualità e che, anzi, esista a tutt’oggi un esercito di professionisti qualificati disposti a svendersi;
  • il precedente creato dalle tariffe basse, che rende in seguito molto difficile la risalita del prezzo: è invece più probabile che si crei un effetto-contagio al ribasso fra clienti dello stesso settore;
  • le condizioni imposte da molte agenzie di servizi linguistici che, per aumentare il margine di profitto, abbassano in proporzione la parte del prezzo destinata a chi traduce;
  • la generale disattenzione, persino nel mercato dell’editoria, nei confronti della qualità del testo, a fronte di massicci investimenti pubblicitari e di packaging;
  • il tentativo di massimizzare il profitto sdoganando l’idea che il nome dell’azienda, dell’istituzione o della casa editrice, o il contenuto creativo dei testi da tradurre, siano di per sé una remunerazione;
  • nell’ultimo decennio, l’aumento dei mancati pagamenti e l’ulteriore dilatarsi dei tempi di pagamento, sia nel settore pubblico sia in quello privato;
  • sempre nell’ultimo decennio, gli effetti dell’abolizione delle tariffe minime.

Fuori elenco possiamo aggiungere anche il peso dell’automazione e dell’intelligenza artificiale – destinato ad aumentare nei prossimi anni -, che sottrae una parte di lavoro e quindi di tariffa, soprattutto a chi traduce. Per approfondire: «Intelligenza artificiale e nuove tecnologie: una minaccia per traduttori e interpreti?».

Gli ultimi due fattori in elenco, in particolare l’abolizione delle tariffe minime, meritano di essere presi in esame anche in relazione alla situazione italiana. Consideriamone in breve gli effetti negativi e proviamo a ragionare sui possibili rimedi.

Giungla tariffaria e povertà

Il decreto 223 del 2006, meglio noto come decreto Bersani, ha di fatto cancellato i minimi tariffari per le professioni, che siano regolate o meno da ordini o albi: un provvedimento che non ha certo arginato – ma anzi esteso e acuito – il fenomeno del ribasso patologico delle tariffe, che nel settore dei servizi linguistici ed editoriali era peraltro già in atto al momento della sua entrata in vigore. Tradizionalmente i traduttori non navigano nell’oro ma, a distanza di un decennio dall’introduzione del decreto, abbiamo sempre più interpreti (e ingegneri, architetti, avvocati, medici) che sono diventati lavoratori poveri. Soprattutto gli autonomi ma anche i dipendenti.

Già nel 2010 gli ingegneri lamentavano una flessione effettiva delle retribuzioni che toccava punte del 70-80% e chiedevano la reintroduzione di una tariffa minima equa, «Perché le tariffe minime devono tornare per gli ingegneri», La Repubblica.

Facciamo un salto in avanti al 14 maggio scorso, a Roma, dove una grande manifestazione di professionisti (140 gli ordini che hanno aderito) invocava “un sistema tariffario regolamentato, una chiara definizione del complicato tema delle competenze professionali, un testo unico che regoli e affronti il lavoro autonomo con uno Statuto. Senza dimenticare che il sistema fiscale italiano deve essere integrato con politiche utili alla libera professione e all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro”. Tra parentesi, un ritorno alla regolamentazione gioverebbe non solo agli autonomi, ma anche ai dipendenti: spesso si fa notare come il dumping tariffario fra liberi professionisti si ripercuota anche sui compensi percepiti da chi lavora con contratti a fisso mensile. Per approfondire, «#Noiprofessionisti in piazza per la reintroduzione delle tariffe», Il Sole 24 Ore».

Grande importanza avrebbe poi il settore pubblico, che in veste di cliente potrebbe fare molto per favorire buone pratiche con riguardo a pagamenti congrui e tempestivi, mentre in realtà contribuisce a peggiorare il quadro generale: i pagamenti della PA avvengono in media a 144 giorni (dati 2015, rapporto UE), contro i 30-60 richiesti dalla direttiva UE in materia. In più, la possibilità di applicare il criterio del minor prezzo (massimo ribasso), prevista dal nuovo codice degli appalti (2016), fa sì che in molti contesti la scelta di affidare gli incarichi a chi pratica le tariffe più basse diventi la norma.

La protesta di massa dei professionisti ha dato i suoi frutti: il mese scorso il governo si è impegnato a reintrodurre tariffe minime per le professioni ordinistiche: si legga «Tariffe minime professionali: il Governo verso la reintroduzione». Da più parti si auspica anche che gli ordini potenzino la propria magistratura interna, comminando reali sanzioni a chi fa concorrenza sleale.

C’è qualche prospettiva in questo senso per le professioni legate alla traduzione/interpretazione, non inquadrate in ordini? Se la controtendenza in materia tariffaria dovesse affermarsi anche nel nostro settore, le associazioni di categoria esistenti potrebbero assumere, anche se in via non vincolante, alcune delle prerogative degli ordini per quanto riguarda le tariffe. Il recente articolo «Tariffa minima o equo compenso: come cambia il lavoro» contiene un paio di interessanti ipotesi di lavoro:

  • elaborazione di tariffari basati su tabelle di equivalenza fra prestazione, tempo e professionalità;
  • per i mancati pagamenti, un fondo comune di assicurazione per i crediti non riscossi, creato da un sindacato, a cui si avrebbe la possibilità di aderire con l’iscrizione.

Soffermiamoci in particolare sull’intervento dei sindacati. Se i lavoratori vi partecipano in numero sufficiente, l’organizzazione sindacale può svolgere un ruolo chiave nel riconoscimento non solo di compensi equi, ma anche di tutta una serie di tutele come maternità, malattia e previdenza. In Italia, da circa venti anni, la CGIL ha esteso le categorie che rappresenta includendo i “lavoratori della comunicazione” con la fondazione della sezione SLC nel 1996: fra gli ultimi arrivati della sezione SLC c’è STradE, associazione nazionale dei traduttori editoriali, che l’anno scorso ha aderito al sindacato. Come spiegato nel nostro blog lo scorso marzo «Rafforzare dignità e diritti, insieme si può: intervista a Elisa Comito di STradE-SLC», STradE è particolarmente attivo, oltre che sul tema delle tutele sopra citate, anche nell’elaborazione di contratti editoriali equi, legali e trasparenti e nella loro implementazione nei contesti reali di lavoro, anche attraverso convenzioni con associazioni di editori.

No Peanuts! Non vogliamo le briciole

Le associazioni e i sindacati sono fondamentali per vedere riconosciuti e per difendere i nostri diritti non solo tariffari. Tuttavia il compito di educare i clienti a rispettare il nostro lavoro e le nostre competenze professionali, anche attraverso un adeguato riconoscimento economico, è un’azione da intraprendere individualmente giorno per giorno e spetta quindi innanzitutto a ciascun professionista.

Terminiamo allora rileggendo l’appello in forma di decalogo del movimento No Peanuts for Translators, pubblicato nel 2010 ma sempre attuale, in cui forse chi legge si sarà già imbattuto.
Il secondo principio, dopo «resisti alle pressioni e non abbassare le tue tariffe», è «spiega perché» al cliente, che sia agenzia, editore, azienda, ecc. Buona parte dei principi del decalogo si propone di responsabilizzare i traduttori – ma potremmo applicarlo anche agli interpreti -, rendendoli consapevoli che ogni loro scelta quotidiana ha risvolti etici oltre che economici, perché contribuisce al miglioramento o al peggioramento della condizione dell’intera categoria. Invitandoci a fare rete per creare un senso di comunità e di solidarietà, No Peanuts! ci raccomanda anche di opporci tutti insieme alle cattive pratiche. Superare l’individualismo e l’indifferenza verso i colleghi ma anche aderire come collettività alla richiesta di tariffe adeguate crea fiducia nel valore del nostro lavoro dentro di noi, prima ancora che nei nostri clienti.

La tua opinione sull’argomento

Fin qui ci si è limitati ad allineare alcune considerazioni e domande, vecchie e nuove, sul tema tariffe: vi invitiamo ora a integrare e a commentare quanto detto nell’articolo, in modo da costruire insieme un approfondimento che possa essere frutto di una riflessione collettiva.

1 Commento
  • Laura Gervasi
    Pubblicato alle 10:32h, 28 Luglio Rispondi

    Grazie Elisabetta per questo articolo così ricco di contenuti e spunti. Seguendo i link inseriti e leggendo le pagine a cui rimandano si ha davvero una buona panoramica della questione. Per quello che può valere la mia esperienza personale, mi sento di dare il mio contributo alla discussione aggiungendo che sicuramente a volte siamo noi stessi ad auto-limitarci: presi dallo sconforto per la situazione generale non proprio rosea, ci auto-convinciamo che il cliente non accetterà mai la nostra tariffa, per quanto equa e adatta a un servizio professionale come il nostro, e siamo tentati di “scendere a compromessi”. Tuttavia, credo sia proprio in questi momenti che bisogna avere fiducia e portare avanti le nostre richieste professionali. Mi è capitato più di una volta recentemente di presentare dei preventivi che, seppur giustissimi, temevo non sarebbero stati accettati. Invece, con mia grossa soddisfazione, i clienti hanno accettato senza fare una piega. In alcuni casi si trattava di clienti già “sensibilizzati” e fidelizzati,, ma in altri casi erano clienti nuovi. In questi casi, credo sia fondamentale dedicare del tempo a far conoscere ai clienti la nostra professione e a spiegare loro come si compone il preventivo. Per me ha funzionato e mi ha anche insegnato a non dare per scontato a priori che il cliente non accetterà: in parole povere, non bisogna sottovalutare l’intelligenza altrui né darsi la zappa sui piedi da soli!

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